“Mistero del Creato” di Eva Clausen
La ceramica è da sempre portatrice di segni. Artefatto di materia ancestrale racconta di miti e di eroi. Storie affidate alla sua meravigliosa pagina, alla sua superficie messa alla prova dal fuoco, segno di terra. Arte figurativa per eccellenza, prosaica, amica della trama, del racconto dell’essere umano. Da sempre la ceramica è Storia e Natura, è materia primordiale su cui il tempo lascia i segni, il passato si iscrive, si fa presente per proiettarsi nel futuro. Ed ecco un’artista che si impadronisce di queste peculiarità per ribaltarle, o meglio, per piegarle a una sua necessità, del tutto inusuale: riportare la Natura nel suo vero stato naturale che è l’astrazione. Qui sta il Mistero del Creato. Astratto, non spiegabile, non decifrabile, non deducibile, persino ostile e pure al tempo stesso accattivante, seducente, ricco di segni e simboli percepibili persino intelligibili. E proprio qui, in questo punto focale che si colloca l’arte di Angela Palmarelli. Un’ arte materica, tangibile, concreta e al tempo stesso celeste, sfuggente, misteriosa. Un’ arte che si manifesta e dove la mano dell’artista scompare misteriosamente proprio perché ricorre a una tecnica incredibilmente sofisticata, elaborata. Non c’è un prima e un poi, nonostante dietro ad ogni oggetto ci sia un lungo processo artistico. La dimensione temprale viene annullata o meglio racchiusa in un unico punto finale. Ciò che resta è solo il Creato – avvolto appunto nel mistero. Superfici solcate, tessiture cuneiformi, spigoli graffianti, fenditure taglienti, eruzioni magmatiche formano elementi artefici-naturali che hanno con l’intelletto un rapporto di odio amore, di dipendenza e di liberazione. I segni nelle superfici argillose più che lettere o simboli sono indicazioni che suggeriscono la via che porta dalla materia all’ Immateriale, dal visibile all’ Invisibile. Nella percezione dell’Invisibile si nasconde la vera natura astratta delle terre cotte di Angela Palmarelli. Le sue opere emanano un’immediatezza che trascende la spiegazione, la esula.
E in questa immediatezza sta l’epifania delle opere dell’artista. Un’epifania che va oltre la materia e si fa pure poesia – l’esatto contrario di quella prosa artistica che ambisce la trama e in cui l’Io e l’Altro sono eterni antagonisti. Una poesia davvero primordiale – ricavata dalla terra –è innalzata a una Spiritualità di cui l’essere umano, l’Io, ha bisogno per essere. Una Spiritualità che, nascendo dal rivelarsi della Natura come tale, quindi senza connotazioni religiose, scientifiche o intellettuali, non può non includere il lato oscuro, perturbante, das Unheimliche. E di fatto Angela Palmarelli è consapevole di questa oscurità, la accarezza, sapendo che l’apocalisse, la fine della Natura, ha un solo “antidoto”, la Vollendung, il compimento dell’arte, che non trova il suo equivalente nella perfezione, ma nel compiersi quotidiano. La creazione artistica è la speranza dell’escatologia – e quindi la vera speranza della vita – in armonia con la Natura
Da “Le Geoarcheografie di Angela Palmarelli” di Tiziana Ercole
[…Se la materia delle sue opere, l’argilla, è di per se una delle essenze della terra, il sentimento artistico di Angela Palmarelli viaggia attraverso la storia del pianeta alla ricerca di linguaggi remoti trasmessi dai sedimenti e dalle rocce, veri e propri codici geologici che l’artista interpreta e riproduce nelle sue istallazioni.
É in queste intuizioni oserei dire filologiche, che Palmarelli rende possibile la lettura dei segni ancestrali materializzati in stratigrafie immaginarie, evocatrici pertanto di reali evoluzioni e processi sedimentari risalenti a cronologie impossibili da ordinare nei calendari della storia dell’uomo…]
Da “La scrittura della terra” di Domenico Iaracà
[…la sua non è solo ricerca tecnica per riproporre un fatto, un evento naturale attraverso la sua riduzione al segno essenziale in contrapposizione a semplici o ad articolate linee grafiche, ma è anche il riproporre nella sperimentazione l’avvicinarsi all’ emozione di “involtamento” nella materia provata dall’artista. Lei stessa cita la celebre frase di Paul Klee sulla sua visione dell’arte secondo cui ”l arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non lo è…]
[…non dobbiamo quindi leggere la sua opera come un’esaltazione antropocentrica di chi, nella sua perizia tecnica, riesce a riprodurre quello che la Natura ha creato quanto piuttosto il tentativo di chi, lavorando le argille, cerca di entrare il più profondamente possibile in sintonia con la questa. Non è l’arroganza dell’uomo che scrive sulla terra ma l’umiltà di chi cerca, nelle proprie opere, di restituire la scrittura della terra…]
Da “A proposito di scritture già scritte” di Franco Profili
[…Nell’ operazione di scavo e recupero di pezzi della storia di questo pianeta Angela usa un codice di scritture in cui l’intervento dell’artista risulta essere esattamente opposto a quello che farebbe chiunque decida di scrivere una qualche storia. Qui non si scrive su fogli lindi e da riempire a proprio piacimento liberi da vincoli tematici e storici. Qui si scrive, senza scrivere, anzi, in realtà si toglie e si scava, per poi ri-scrivere l’avventura di questo mondo con un nuovo alfabeto.
E si toglie, si scava e (poi) si riporta alla luce soltanto dopo aver letto e interpretato quello che ogni zolla di terra porta già scritto nel suo patrimonio genetico.
Il risultato di questo complicato, affascinante e, credo, duro viaggio è che, almeno per questa volta, l’artista riesce nell’impresa di tornare a dare dignità e valore positivo al ruolo degli umani in una storia in cui, ad essere onesti, siamo sempre stati e restiamo ospiti, intelligenti sì, ma sempre ospiti…]
“Produrre forme che producono colore” di Elena Lacava
Può essere che in questi anni confusi, in cui i frammenti della cultura cercano indicazioni e, soprattutto, cercano di materializzarsi in cose, queste “cose” diventino nelle mani di un artista che lavora la creta, forme vive, riflessi del tempo in cui siamo.
Angela Palmarelli, dopo aver appreso le tecniche della ceramica tradizionale, ha trovato, quindi sperimentato, la tecnica Raku con tutte le sorprese e le incognite che essa nasconde, e in questa appagando l’ inesauribile curiosità per le apparenze della terra.
Chi rimane affascinato da questa tecnica, ama il contatto diretto con la natura, il contributo a sorpresa che la natura dà, inserendo foglie, polveri e vegetali nelle cotture, così che la ricerca non ha mai fine.
Palmarelli inizia a lavorare su forme preesistenti e fruibili, ciotole, formelle, via via assorbendo e dimenticando il supporto; tentando di esprimere, solo con l’eruzione del colore, un messaggio di ricchezze e di luce. Gli oggetti, ossia le costruzioni in creta, sono il sostegno del colore, e il colore è straordinariamente fluido, quasi magma in movimento.
La tecnica Raku è anche questo: non ornare, colorare, abbellire oggetti in terracotta predisposti, e a volte prodotti in serie, ma immaginare insieme forme e colori.
Quindi questi oggetti hanno il valore di una testimonianza: l’inesauribile fluidità della materia e il “gesto”: produrre forme che producono colore.